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Nicola Castaldo

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"È da pazzi, è da savi, è bene, è male!" Ma cosa significa? Avete prima esplorato i segreti moventi di un'azione?"


La rete fra utopia e distopia

Pubblicato da Nicola Castaldo su 27 Maggio 2018, 15:31pm

Tags: #philosophy, #internet, #democracy, #policy, #società

La rete fra utopia e distopia
1. Quale utopia è possibile oggi per la rete ?
 
«Grazie alle nuove possibilità introdotte da internet, sarà sempre più semplice approfondire un argomento e farsene un'idea personale invece che seguire ciecamente un partito. Le agorà virtuali - come gli altri siti d'informazione ed azione non partisan - militano infatti per la democrazia e non per un partito. Ascoltare seriamente il punto di vista opposto fa parte della nuova cultura politica che si sta sviluppando sul web. [...............] Quando dei cittadini le cui idee sono opposte frequentano la stessa comunità virtuale, essi acquistano una reale familiarità con le opinioni degli avversari con cui dialogano quotidianamente. Si preannuncia la fine dell'autoreferenzialità che caratterizzava il nostro modo di far politica, in favore di una ragione politica dialogante»[1]: Così scriveva nel 2002 Pierre Lévy, auspicando l'avvento di una vera e propria cyberdemocrazia in grado di risolvere gran parte dei problemi sociali, antropologici e politici che affliggono, non solo il mondo globalizzato del Terzo Millennio, ma la stessa Umanità a partire dalla sua comparsa sul pianeta Terra. Tutto sarebbe dovuto avvenire grazie alla trasparenza e alla vorticosa circolazione delle informazioni in rete. Oggi, a pochi anni di distanza, l'utopia di un mondo finalmente approdato, grazie alla rivoluzione di internet, ad una nuova era di progresso, paragonabile a quella inaugurata nel XVIII secolo dall'Illuminismo in Europa, sembra definitivamente tramontata.
            Eppure è evidente che le tecnologie informatiche, stanno rapidamente trasformando il mondo in cui viviamo: i nuovi media tecnologici ogni giorno contribuiscono a rendere il mondo più interconnesso e più informato. Tuttavia essi stanno anche trasformando il rapporto del soggetto con la realtà e rischiano di recidere i legami umani e il senso stesso di comunità. Accanto alle possibilità di attingere ad una conoscenza sempre più diffusa e immediata, si propagano, attraverso le tecnologie dell'informazione, nuove forme di irrazionalismo, pregiudizio ed esclusione sociale, si radicalizzano le opinioni e ci si disabitua al confronto con chi la pensa in maniera diversa dalla propria, sempre più piccola, cerchia. Il rischio è che il massimo della possibilità di apertura al mondo, che solo qualche anno addietro faceva sperare in un salto di qualità democratico delle nostre società, si traduca, di fatto, in una crescente chiusura. Ogni giorno vediamo questo paradossale effetto attorno a noi: internet, con i suoi blog, social media e ogni sorta di medium di comunicazione online che, combinato con la fine delle ideologie, avrebbe dovuto portare ad una democrazia virtuale globale, sta di fatto contribuendo a creare una massa di soggetti isolati e incapaci di aggregarsi in modo stabile e di sviluppare prospettive che possano andare al di là dello stretto recinto del proprio network virtuale. I motivi di questi effetti collaterali della rete sono da ricercare nella fine delle grandi narrazioni come l'Unione Europea e la globalizzazione: quello che resta all'individuo contemporaneo è, fondamentalmente, sé stesso e l'immediatezza con cui gli smarphone e ogni nuovo mezzo tecnologico collegato alla rete riesce a riflettere il proprio sé. Questa sembra oggi  l'unica strada che il soggetto ha per non dissolversi nel flusso del caotico divenire contemporaneo.
Tuttavia è evidente che questo non può bastare a rilanciare l'utopia di una società più giusta e democraticamente più avanzata nel segno del web. Sempre più spesso i social media sono divenuti un luogo virtuale dove dare sfogo ad ogni sorta di malanimo verso la società e verso i propri simili attraverso una vera e propria liquefazione della sfera privata. Le conseguenze di questo gioco al massacro virtuale risultano, però, sempre più, drammaticamente, reali: Come è possibile che l'utopia di un mondo più democratico, più trasparente, più informato e, in definitiva, più giusto, si sia trasformata, in pochissimo tempo, nel suo opposto: una distopia dove ogni tentativo di distinguere il vero dal falso, il reale dal virtuale, il bene dal male, il bello dal brutto, risulta non solo inutile ma, fondamentalmente, impossibile?
 
 
2. Dentro la Rete
 
La rete internet, nata nel 1969 come esperimento di comunicazione militare del Governo degli Stati Uniti, ha assunto la caratteristica di una vera e propria ragnatela globale (World Wilde Web), a partire dal 1990, quando con l'introduzione del linguaggio Html, si è resa disponibile l'opportunità, per ogni abitante del pianeta connesso, di avere accesso ad un gran numero di file di tipo testuale ma anche audio, video, immagini ecc.
          Ben presto la possibilità di interagire con la rete, ovvero di poter non solo fruire di contenuti multimediali, ma anche produrli e diffonderli sul web, è diventata un' abitudine per un numero sempre maggiore di persone nel mondo. Alla fine del 2016 il 46 per cento della popolazione mondiale era connesso a internet, secondo il rapporto digital in 2017 pubblicato dall'agenzia we are social, 3.77 miliardi di utenti nel mondo hanno accesso a internet nel 2017, con una penetrazione del 50 per cento della popolazione mondiale. Il 37 per cento degli utenti del World Wild Web oggi usa regolarmente i social media e 4.92 miliardi sono coloro che navigano dai dispositivi mobili come smartphone e tablet, con una penetrazione del 66 per cento del totale degli utenti di internet.
Ciò che salta all'occhio da questi dati, oltre al numero di utenti totali di internet che ha ormai raggiunto e, probabilmente, superato la metà di tutti gli esseri umani esistenti sul pianeta, è la diffusione sempre più capillare dei dispositivi mobili e l'utilizzo massivo dei social media. La rete è sempre più qualcosa che cammina letteralmente con noi, a contatto con il nostro corpo, non dorme mai ed è ormai parte indispensabile della vita quotidiana di ognuno di noi. Chi non si ferma almeno una volta al giorno a cercare informazioni di qualsiasi tipo sul proprio smartphone?
La nuova frontiera dell'era digitale è infatti il così detto internet delle cose : oggetti di uso comune connessi in rete e capaci di interagire con l'uomo anche esso sempre più connesso alla rete in maniere totalizzante. Non a caso la realtà aumentata, fruibile attraverso smartphone, smartwatch, Google glass e ogni sorta di oggetto indossabile connesso alla rete, è qualcosa a cui ci siamo ormai abituati e che usiamo quotidianamente per avere informazioni rapide, dettagliate sugli aspetti più disparati della nostra quotidianità . La realtà come l'abbiamo conosciuta fino ad oggi è dunque destinata a sparire? O è forse già persa per sempre?
 
 
3. Frantumazione e riconfigurazione nell'universo dell'iperreale
 
Le nuove tecnologie della comunicazione, basate sull'utilizzo della rete internet, stanno migliorando esponenzialmente la velocità e la capacità di circolazione delle informazioni nella nostra società: questo è sicuramente un dato di fatto positivo. 
Non si può, tuttavia, non considerare una altro aspetto del fenomeno altrettanto evidente: l' interconnessione dell'intera umanità in un'unica comunità politica, culturale, virtuale e globale, auspicata da più parti, non si è affatto verificata;     al contrario è possibile delineare i tratti di una disconnessione crescente fra gli individui, i gruppi, i popoli e gli Stati, la quale avanza quasi di pari passo con l'interconnessione del world wild web. Per non parlare della disconnessione dal proprio Sé, fenomeno sempre più presente nella nostra società.
Connessione e frammentazione sembrano dunque convivere oggi sotto lo stesso tetto in un mondo sempre più composto da frammenti parziali di senso, di idee, di fatti, di soggettività. L'uomo moderno è passato gradualmente dalla tensione verso una comprensione olistica ad una conoscenza parziale della realtà fino a giungere all'era dell'informazione e, infine, quella dei dati. Big data da scomporre in dati sempre più minuti, frammenti di dati da ricomporre per dare forma ad una nuova realtà.
Dall’informazione all’economia, alla politica, alla cultura tutto oggi è comunicazione; comunicazione di informazioni, dati e frammenti di dati. Il passaggio dal dato oggettivo, il dato di fatto, al dato digitale realizza la scomparsa della realtà oggettiva così come siamo stati abituati a pensarla sulla scorta delle scienze moderne. Il Soggetto della conoscenza moderno che, da Kant in poi, è divenuto legislatore della Natura oggi sembra non aver più nulla da dire e da dare nel nuovo mondo che l'uomo abita nell'universo digitale.
Il problema non è quello di vivere all'interno di una realtà virtuale perché, come vedremo, la nostra realtà è già sempre in qualche modo virtuale. La realtà digitale fa parte della stessa realtà fenomenica a cui siamo abituati. Allora più che la realtà in sé, ciò che rischia di estinguersi oggi, attraverso la de-medializzazione del digitale, è il mondo del simbolico che dona senso all'universo dell'Uomo. Lacan distingue il mondo dell'Uomo in reale, immaginario e simbolico.
L'uomo vive già sempre immerso in un mondo virtuale perché non può vivere a contatto con l'orrore del reale e perciò lo ricopre con il linguaggio entrando, pienamente, nel mondo del simbolico. non c'è mai un rapporto uno a uno fra l'essere umano e il reale in sé, perché di mezzo c'è il mondo del simbolico a cui accediamo nel momento in cui, apprendendo il linguaggio, diveniamo propriamente umani.
Quella che chiamiamo "realtà" è il risultato di un processo di simbolizzazione a cui abbiamo sottoposto il reale. Oggi però la realtà sembra essere stata soppiantata da ciò che Baudrillard chiama iperrealtà, una realtà aumentata da tutti i punti di vista, capace di apparire più reale del reale stesso. Nel mondo contemporaneo la realtà precipita nell’iperrealismo, nella meticolosa reduplicazione del reale che si attua modificando e influenzando permanentemente ogni tipo di ambiente, ogni spazio, ogni -habitat fino a invadere il corpo umano stesso. Partendo da un medium, (pubblicità, foto, ecc.) di medium in medium il reale si volatilizza divenendo allegoria della morte, ma nello stesso momento si potenzia perché diventa il reale per il reale. Oggi la realtà stessa è iperreale. Contemporaneamente alla scienza che postula la riproducibilità esatta di qualsiasi processo, il reale diventa ciò di cui è possibile fare una riproduzione equivalente. Esso non è più oggetto di rappresentazione simbolica, ma, come direbbe Baudrillard, negazione della propria distruzione rituale: iperreale. L’immaginario, lacaniano, invade il reale a scapito del simbolico con tutto ciò che questo mutamento comporta. «Al termine di questo processo di riproducibilità, il reale non solo è ciò che può essere riprodotto ma è ciò che è sempre già riprodotto: iperreale»[2].
I nuovi media sono il luogo dove avviene questo processo di riproduzione: essi ci concedono di avere uno sguardo diretto su tutti gli avvenimenti, anche i più distanti da noi, ma al tempo stesso trasformano la realtà che finisce per non essere più ciò che esiste indipendentemente dalle costruzioni artificiali dell’uomo ma diviene manipolabile come tutto il resto dei prodotti materiali.
Il rapporto con la verità passa in secondo piano: più che di post verità oggi sarebbe il caso di parlare di iper-verità: Il rasoio di Ockham[3] non basta più e per ogni fenomeno c'è un ventaglio di spiegazioni complicate e spesso completamente prive di fondamento la cui unica caratteristica è quella di essere in grado di impressionare, colpire più delle altre voci nel mare magnum della comunicazione digitale.
«Noi viviamo già ovunque nell’allucinazione estetica della realtà»[4]. Tutto diventa allegoria dell'arte. L’arte perde la sua caratteristica di produzione divenendo solo una banda di lettura e di interpretazione dei segni artefatti. L’arte, svuotata del suo contenuto critico e produttivo, è così dappertutto e in nessun luogo, perché la realtà è artificio e l’arte può scambiare i suoi segni con quelli dell’industria, pur rimanendo tale[5].
 
E’ senza dubbio il nostro tempo che preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà., l’apparenza all’essere. Ciò che per esso è sacro non è che l’illusione, ma ciò che è profano è la verità. Anzi il sacro si ingigantisce ai suoi occhi via via che diminuisce la verità e l’illusione aumenta. Così che il colmo dell’illusione è anche per esso il colmo del sacro[6].
 
 
4. Medium senza mediazione
 
L'etimologia latina del termine virtuale, dal latino virtus, indica la potenza, in contrapposizione all'atto (usando una terminologia aristotelica), la potenzialità di realizzare qualcosa ancora da materializzare. Il mondo del virtuale è, in poche parole, il mondo del possibile, il mondo dell'Uomo per eccellenza: «L'Esserci, in quanto gettato, è gettato nel modo di essere del progettare»[7]. Come è possibile dunque che la virtualità, realizzata dalle tecnologie digitali, abbia condotto ad un mondo in cui il soggetto è sempre più privo di potenzialità, isolato e vittima di un turbocapitalismo allo stadio finale che sembra averlo condannato ad una crisi senza fine?
Secondo Byung-Chul Han, invece di aggregare le persone sviluppando la così detta intelligenza collettiva globale, la rete ha finito per atomizzare gli individui ormai incapaci di agire in maniera collettiva e organizzata:
 
I soggetti economici neoliberisti, non costituiscono un Noi capace di un'azione comune.
Il crescente egotismo e l'atomizzazione della società restringono radicalmente gli spazi dell'agire comune e impediscono, con ciò, che si costituisca un contro potere, che sarebbe sul serio in grado di mettere in questione l'ordinamento capitalistico. Il socius cede il passo al solus; non la moltitudine, quanto piuttosto la solitudine, contraddistingue la forma sociale odierna, sopraffatta dalla generale disgregazione del comune e del collettivo.[8]
 
Dalla sfera psicologica a quella sociale e, infine, politica, la disgregazione e la disintermediazione sembrano essere le due caratteristiche che emergono da questa rapida analisi del mondo contemporaneo nell'era dei media digitali. Il paradosso che un medium per eccellenza, come è la rete internet, stia portando alla de-medializzazione in ogni campo, è evidente. Se la verità non basta più a soddisfare le esigenze di forti sollecitazioni emotive del popolo del web, ecco che arriva l'iper verità che fa a meno di tutto il sapere fondato sull'esperienza e sullo studio in un vero e proprio falò di ogni autorevolezza epistemica. Dall'informazione alla comunicazione, dalla cure del sé e della propria salute, fino alla politica, si assiste al rifiuto di ogni intermediazione specialistica:
 
Su questo punto, i media digitali si differenziano dai mass media tradizionali come radio e televisione: media come blog, Twitter o Facebook de-medializzano la comunicazione. [.........]. Oggi ciascuno vuole essere presente e presentare la propria opinione senza alcun intermediario[........].
La crescente spinta alla de-medializzazione investe anche la politica e mette in difficoltà la democrazia rappresentativa.
 
L'immediatezza dei social network ha creato l'illusione che la rete internet fosse un mezzo di liberazione delle masse oppresse, capace di annientare non solo ogni forma di regime autoritario, ma ogni forma di mediazione e intermediazione propria di una società complessa. Ma il mondo umano è di per sé complesso ed è già sempre un mondo mediato dalla sfera di quello che Lacan chiama il mondo del simbolico e che gli antichi greci chiamavano lógos. La torsione in chiave estremistica dei moti rivoluzionari, verificatesi nei paesi mediorientali fra il 2010 e il 2011 e noti come Primevere arabe, ha dimostrato che non esistono tecnologie di per sé rivoluzionarie, in grado di democratizzare magicamente le sorti di interi popoli. Oggi è chiaro che anche lo spazio internet, come una sorta di quinta dimensione, è diventato oggetto di una lotta fra super potenze per occuparlo e controllarlo.
Difficilmente il sistema di potere degli Stati sarà modificato da internet così come le rivoluzioni industriali fornirono le potenze di nuovi mezzi per espandere le loro lotte per l'egemonia europea, così la rete sta fornendo nuovi terreni di scontro fra i principali attori internazionali.
 
 
5. La libertà della rete
La domanda fondamentale è dunque se la rete può essere uno strumento di libertà o meno. Libertà da ogni forma di autoritarismo epistemologico e politico. Certo le nuove tecnologie stanno sovvertendo ogni rapporto di produzione e ogni rapporto di proprietà, per usare un lessico marxiano, tuttavia questi cambiamenti non stanno avendo come effetto una crescente democratizzazione del sistema socio-economico: quello a cui stiamo assistendo è invece la nascita di un monopolio costituito da poche big company che gestiscono non solo la quasi totalità del traffico internet, ma anche la possibilità di agire sullo scacchiere globale condizionando la sovranità degli Stati. Oggi  Apple, Microsoft, Facebook, Alphabet (la ex Google) e Amazon capitalizzano in Borsa 3mila miliardi, il 50 per cento in più del Pil dell’Africa, quasi il doppio di quello italiano. Questo vuol dire che i giganti di internet oggi sono ormai quasi completamente svincolati dal potere sovrano dello Stato Nazione e dall'universo digitale il loro dominio si trasferisce sempre di più alla realtà nei suoi aspetti più complessi. Di pari passo con la diffusione del così detto internet delle cose ovvero lo sviluppo di tecnologie che permettono di collegare quasi ogni oggetto della vita quotidiana alla rete, cambia di fatto il nostro modo di concepire la proprietà di ciò che acquistiamo:
 
Un motivo fondamentale per cui non abbiamo il controllo sui nostri dispositivi è che le aziende che li producono sembrano pensare – e sicuramente agiscono di conseguenza – che siano ancora di loro proprietà, anche dopo che li abbiamo acquistati. Una persona può acquistare una bella scatola piena di elettronica che può funzionare come smartphone, sostiene questa teoria, ma acquista solo una licenza per utilizzare il software interno. Le aziende sostengono di essere ancora proprietarie del software, e visto che lo posseggono, possono anche controllarlo. È come se un concessionario vendesse un’auto, ma rivendicasse la proprietà del motore.[......] l’espansione dell’IoT sembra riportarci a qualcosa di simile a quel vecchio modello feudale, in cui le persone non possedevano gli oggetti che usavano ogni giorno. In questa versione del ventunesimo secolo le aziende utilizzano la legge sulla proprietà intellettuale – intesa a proteggere le idee – per controllare gli oggetti fisici che i consumatori ritengono di possedere. [9]
 
Gli stessi oggetti che acquistiamo in qualche modo sfuggono al nostro controllo ed è evidente che le infrastrutture tecnologiche che usiamo per connetterci e navigare sulla rete, lungi dall'essere di nostra proprietà non appartengono neanche agli Stati e, men che meno, alle comunità locali.  Come è possibile una nuova forma di democrazia fondata su questa nuova tecnologia? Eppure, come risposta alla crisi della democrazia, da più parti si è cominciato a guardare alla rete come una reale speranza per migliorare le procedure democratiche o, addirittura, per sostituire la democrazia rappresentativa, caratteristica dei sistemi di governo occidentali, con una vera e propria democrazia diretta digitale. Molte persone, più o meno consapevolmente, ritengono che l'antica agorà si sia ormai smaterializzata e trasferita sulla rete e, proprio come nell'Atene del V secolo A.C., sia pronta ad aprirsi al mondo della nuova Città-Stato globale.
Pur apparendo decisamente suggestiva questa prospettiva si basa su un fraintendimento storico. Uno Stato nazionale è qualcosa di ben più complesso di una pòlis greca, sia per dimensioni sia per articolazione sociale. Tuttavia anche nell'Atene di Pericle, una Città-Stato di poco più di centomila abitanti, la democrazia non veniva di certo esercitata coinvolgendo tutta la popolazione. Organo di governo era infatti la Boulé:  cinquecento membri eletti dalle cinque tribù ateniesi suddivise per demi, secondo la riforma censitaria introdotta da Solone e portata a compimento da Clistene. Quest'organo che deteneva il potere legislativo, proponeva all'Ecclesìa, l'assemblea del popolo, le leggi che intendeva far approvare, i probùleuma. Quest' assemblea popolare che oggi sembra ispirare i teorici della democrazia diretta digitale, era, in realtà, poco rappresentativa. Dall'Ecclesìa, erano infatti esclusi tutti quei cittadini i cui genitori non fossero entrambi ateniesi. Lo stesso Aristotele ne era escluso in quanto non nato ad Atene da genitori ateniesi. Una democrazia oligarchica come quella che i movimenti e i partiti che auspicano l'avvento della democrazia digitale rischiano di replicare nel bel mezzo del terzo millennio.  
 
 
6. Conclusioni
Una democrazia digitale con le caratteristiche fino ad ora descritte rischierebbe di trasformarsi in un mero sondaggio permanente. Se il fantasma di una nuova oligarchia digitale aleggia sulla rete e nella società, quale ruolo può avere la rivoluzione digitale in atto nel determinare la nascita di una nuova soggettività politica in grado di riappropriarsi degli spazi di libertà oggi soffocati nelle spire di un turbo capitalismo che ha perso ogni sembianza di umanità?
La risposta a questa domanda è «nessuno» dal punto di vista politico istituzionale: non si può fondare un partito politico, un movimento o addirittura una nuova forma di democrazia su un'infrastruttura. Internet infatti è un'infrastruttura al pari delle strade fisiche che da secoli percorriamo con veicoli sempre più efficaci. Come ogni via di comunicazione su di esso transitano informazioni, notizie, scambi di merci, opinioni e culture differenti assieme a pericoli di ogni tipo. L'unica differenza è la grande velocità con cui tutto ciò avviene sulla rete. Non di meno internet è stata ed è ancora per molti aspetti una tecnologia rivoluzionaria. Come ogni rivoluzione tecnologica degna di tale nome, l'avvento della rete contribuisce alla trasformazione economica, sociale e politica della società dove si realizza. É evidente che la Rivoluzione Industriale abbia trasformato le società europee del tempo favorendo l'affermarsi degli Stati liberali nel XIX secolo, tuttavia le istanze ideali e la visione politica alla base di quest'affermazione è maturata molto tempo prima, durante le rivoluzioni inglesi del XVII secolo. Per questo oggi parlare di democrazia digitale equivale a parlare di democrazia industriale o di democrazia ferroviaria per il XIX secolo. Finché non emergerà una nuova soggettività politica a dispetto della precarietà esistenziale e della frammentazione sociale e civile delle nostre società, nessuna innovazione tecnologica potrà produrre cambiamenti significativi per quanto riguarda la gestione del potere in senso più democratico. L'illusione ottica di individuare nei grandi numeri di utenti della rete la promessa di una vasta partecipazione attiva alla gestione del potere è forse uno dei più grandi abbagli che ancora oggi acceca i più. All'inizio del secolo scorso il sociologo Roberto Michels teorizzò la legge ferrea dell'oligarchia secondo la quale più la base è ampia e dispersa più l'oligarchia si rafforza. Pur non condividendo le convinzioni dello studioso italo-tedesco sull'irrealizzabilità della democrazia, è evidente che questa teoria si rivela più che appropriata per i movimenti di massa del secolo scorso e ancor di più oggi per la rete internet.
 
 
La dialettica fra nuove forze economiche, legate all'affermarsi della nuova economia digitale, e grandi masse che, sopratutto in Occidente, vedono le loro condizioni di lavoro, di spesa e di vita messe a dura prova, è ancora in atto. É troppo presto per comprendere se da questa rivoluzione tecnologica potrà scaturire un significativo cambiamento di paradigma politico e sopratutto è difficile capire quale sarà la direzione finale di questo cambiamento: se assomiglierà maggiormente alle utopie fin qui sviluppatesi attorno alla rete o alle distopie che a tratti sembrano emergere dalle pieghe delle pagine web che ogni giorno frequentiamo.
 

[1] P. LÉVY, Cyberdemocrazia, tr.it. Evelin Busetto, Mimesis Edizioni,  Milano, 2008, p. 108.

[2] J. BAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 2002,, p. 80.

[3] Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem , ossia è inutile moltiplicare gli enti se non sono necessari e la spiegazione più semplice è quella più vicina al vero.

 

[4] Ibidem, p. 87.

[5] L’arte può diventare macchina riproduttrice (Andy Warhol) senza cessare di essere arte, perché la macchina non è più nient’altro che segno. La produzione perde qualsiasi finalità sociale per realizzarsi nei segni iperbolici, estetici, prestigiosi che sono i grandi combinanti industriali come ad esempio i grandi misteri del PIL o le torri alte 400 metri.

[6] L. FEUERBACH, Prefazione alla seconda edizione di L’Essenza del cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1994, p. 5.

[7] MARTIN hEIDEGGER, Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1976, p. 185

[8] BYUNG-CHUL HAN, Nello sciame, nottetempo, Roma, 2015, p.27.

[9] J.A.T. Fairfield, The ‘internet of things’ is sending us back to the Middle Ages, https://theconversation.com/the-internet-of-things-is-sending-us-back-to-the-middle-ages-81435,September  6, 2017 1.39am BST, ultima consultazione 03/10/2017.
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